< Pagina:D'Annunzio - Laudi, III.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

DELLE LAUDI - LIBRO

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, III.djvu{{padleft:240|3|0]]

E dissi: ‘Icaro, è l’ora.’
Ma il cor non mi mancò. Non misi grido
verso il mio fato, come la devota
alla saetta aquila moritura;
615nè rimpiansi il paterno ammonimento.
Guatai senza spavento
in giuso; e l’ombre lievi eran le penne
dell’ali, che cadeano tremolando
dalla cera ammollita.
620Mi sollevai con impeto di vita
verso il Titano: udii rombar le ruote
del carro sul mio capo alzato; udii
lo scàlpito quadruplice; il baleno
scorsi dell’asse d’oro, il fuoco anelo
625dei cavalli. Piròe dalla criniera
sublime, Etonte dalle rosse nari.
E i cavalli solari
annitrirono. Il ventre di Flegonte
brillò come crisòlito; la bava
630d’Eòo fu come il velo d’Iri effuso.
E vidi il pugno chiuso
che teneva le rèdini, la fersa
garrir sul fuoco udii. Tesi le braccia.
‘O Titano!’ E la faccia
635indicibile, sotto la gran chioma
ambrosia, verso me si volse china;


- 230 -

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, III.djvu{{padleft:240|3|0]]

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.