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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Notturno.djvu{{padleft:130|3|0]]sue pause sono sempre più lunghe. Non ho pietà. Incito la sua stanchezza. «Dimmi!»

Non mi parla dell’altro, mi parla di me: di me poeta alla mia poesia, di me combattente alla mia prodezza. Sono un’ombra che torna dalla via sanguigna del cielo. Sono un’ombra alata che ascolta il suo mito.

La testa gloriosa aveva due fóri. Dall’uno il sangue aspergeva i compagni, dall’altro sfavillava nel vento mattutino...

Ma vedo a un tratto su i larghi occhi bruni abbassarsi le palpebre, e le lacrime riempiere le occhiaie cave.

Silenzio. Pongo la mia gota sul lembo del guanciale; e rimango immobile, estatico, di là dalla mia coscienza, col mio dolore che è più forte di noi due, col mio dolore che ha la struttura e l’aspetto di un essere vittorioso.

Ecco che novamente siamo tre, come su la prora aerea di battaglia.

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