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126 notturno

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Il delirio confuso della moltitudine si fa voce chiara in me.

Parlo. Ogni mia parola rintrona sotto il mio cranio come ripercossa dal metallo concavo. Ogni soffio mi sforza il cerchio del petto. Ne soffro e sono altero che la mia gioia sia mista di patimento.

È come il dolore di una creazione, è come l’angoscia di una nascita. La folla urla in travaglio. La folla urla e si torce per generare il suo destino.

Di là dal davanzale coperto di piombo, vedo mille e mille e mille vólti, e un vólto solo: un vólto di passione e di aspettazione, di volontà e di riscossa, che mi brucia nel mezzo del petto come una piaga generosa.

Simile a una improvvisa canzone di gesta, il mio dire si divide in larghe lasse che il clamore compie e trasporta.

Sopraffatto da un grido più alto d’ogni altro, smarrisco nella pausa

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