< Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
168 notturno

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Notturno.djvu{{padleft:180|3|0]]sono un chèrubo assunto da! soffio dell’Eterno.

Diceva: «Me! Me! Eccomi!» Aveva la sete dell’immortalità per il suo figlio che proteso era a compire i suoi fati.

«Eccomi!» E alla sorgente di sangue, che le scrosciava dal mezzo del petto, si dissetavano tutti i soldati.

Era un amore così folto che non mi lasciava scorgere s’io fossi la sua creatura o s’ella fosse la mia creatura.

Era un fuoco tanto splendente che non mi lasciava distinguere se imperfetto io ardessi di lei o se di me ella ardesse compiuta.

Era un sacrifizio tanto veemente che non sapevo s’ella fosse la mia madre o la mia patria, sospeso fra la culla e la tomba.

Né sapevo s’io le dessi la mia giovinezza rinata o s’ella riaprisse nelle mie ciglia rovesce i freschi occhi suoi di colomba.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.