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notturno 9

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Quando la Sirenetta s’accosta al mio capezzale col suo passo cauto e mi porta il primo fascio di liste eguali, tolgo pianamente le mie mani che da tempo riposavano lungo le mie anche. Sento che sono divenute più sensibili, con nelle ultime falangi qualcosa d’insolito, che somiglia a un chiarore affluito.

Tutto è buio. Sono in fondo a un ipogeo.

Sono nella mia cassa di legno dipinto, stretta e adatta al mio corpo come una guaina.

Agli altri morti i familiari hanno portato frutti e focacce. A me scriba la pietosa reca gli strumenti dell’officio mio.

Se mi levassi, il mio capo non urterebbe il coperchio dov’è dipinta all’esterno la mia imagine di prima coi grandi e limpidi occhi aperti

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