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Poi mi racconta che una sera di plenilunio, quando era alunna al Poggio Imperiale, fu condotta con alcune sue compagne a visitare l’osservatorio di Arcetri.
Nel suo ricordo ella vede grandi terrazze bianche di luna, grandi terrazze sovrapposte che si avvicinano agli astri come nella dimora d’un astrologo inventata in un poema di cavalleria.
E là ella udì la più bella voce del mondo.
Era quella del modesto assistente, che presso il telescopio parlava delle montagne e delle valli lunari, parlava degli anelli di Saturno e del rossore di Marte.
Tutte le fanciulle pendevano dal suo labbro, rapite dall’incanto del plenilunio.
La voce pura era come un tono dell’armonia celeste.
E la corona virginea palpitava come una costellazione umanata, intorno al dottore di stelle.