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notturno 307

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È il tocco dopo mezzogiorno. Sono solo. La mia gente è al pasto. L’ora trafigge i miei piedi con un chiodo più aguzzo.

Di tratto in tratto un soffio d’aria giunge alla mia benda cieca.

Ho sete. Dianzi Renata aveva nel bianco degli occhi un tremolìo di ruscelli.

La mia gente mangia. Si riconforta.

Un filo vietato di sole entra per le imposte socchiuse. Fa risplendere la bacinella. Entro i margini di porcellana il sangue fresco ha la vivacità d’una rosa di porpora.

Un’ombra lieve passa e ripassa. Un’ombra labile sfiora il catino; si dilegua; ritorna.

La seguo intento. Basta ad agitare la mia malinconia e ad esasperare la mia inquietudine.

È un’ombra di farfalla.

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