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314 notturno

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In ogni tronco vuoto lo zoccolo della mia bestia può affondarsi come in un fodero arroventato. Non allento mai la vigilanza. Sono tutt’occhi e tutto acume. Gli stecchi neri minacciano di forare la suola sparsi come quei triboli di ferro che spedavano le cavallate avversarie.

La cinigia scotta. Sento l’odore dell’unghia abbruciaticcia, come alla porta del maniscalco. Respiro la vampa. Odo un soffiare, un crocchiare, uno sgrigliare intermessi. Grondo e anso.

Chi è quell’uomo, col volto arsicciato, coi panni in fiamme, che si voltola nella sabbia del guardafuoco e urla?


M’avanzo per la landa cenerosa.

Cavalco per la selva fosca, tra cenere e sabbia.

Di quando in quando un turbine tacito solleva la cenere a grande altezza.

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