< Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
318 notturno

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Notturno.djvu{{padleft:330|3|0]]lanza di azzurrognolo, di verdigno, di grigiastro.

S’incupiscono talora come la bragia; abbarbagliano talora come la folgore.

Ogni lor diversità mi turba, come gli sguardi che màgano.

Hanno lasciato dietro di sé la foresta incarbonita e fumigante. Si avanzano in lunghissima catena. Spiegano una fronte di battaglia che si perde nella lontananza addentrandosi nel nuvolo del fumo nero.

La lor violenza è tale che non sembra nascere a fior di terra, là dove lo sterpeto si radica, ma irrompere dal profondo, insorgere dall’abisso, come il vòmito dei cratèri aperti.

Hanno la violenza e la pertinacia, l’impeto e la costanza.

Insegnano a combattere.


Ecco i modi dell’arte ignea.

Assalgono i tronchi tentando prima le radici palesi, le barbe esterne.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.