< Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

notturno 367

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Notturno.djvu{{padleft:379|3|0]]in vario modo, con lentezza o con violenza, secondo gli accenti.

Ma v’è una voce, la più acuta e la più spietata, che mi sega le costole a una a una e mi scarpella lo sterno.

Un’altra, quando s’introduce nell’orribile concerto, sembra uno strumento affilato che ogni volta intraprenda la «enucleazione» dell’occhio e poi la tralasci.

Quando questo supplizio avrà fine?

Ecco che odo il quintetto funebre ridere d’un riso chioccio, quasi all’unisono.

Il mio occhio triste è là, sopra il tavolino, accanto a un posacenere, come uno di quei pezzi anatomici arteficiati e dipinti che da anni il bidello spolvera e il professore maneggia facendo la lezione agli studenti svogliati.

Un raggio furtivo di sole traversa la fiala gialla dell’atropina, rischiara il cotone avvolto come un enorme

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.