Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
26 | notturno |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Notturno.djvu{{padleft:38|3|0]]passa per labbra violacee com’erano le sue nelle prime ore, dischiude una bocca divenuta quasi insensibile, indurita dal sapore metallico dell’iodio che circola nel mio corpo.
Gli somiglio anche nella ferita: rivedo la falda di cotone che copriva la sua orbita destra spezzata dall’urto.
Così la sua morte e la mia vita sono una medesima cosa.
Dalla sua immobilità di laggiù viene a me quel che di lui seppi amare; da questa mia immobilità gli va incontro quanto in me fu degno ch’egli l’amasse.
Se bene io soffra, se bene egli non soffra più, per l’uno e per l’altro la carne è abolita mentre gli spiriti si ricongiungono.
L’ultima sua parola da me udita su la riva fuggente, la sua mano livida e gelida sfiorata da me con le labbra un attimo prima che il coperchio me la nascondesse: tra quella voce e quel gelo vissi con lui o morii con lui?