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Sono di nuovo immobile, con qualche cosa di molliccio in me e intorno a me, come supino nella belletta in fondo a un padule limaccioso.
L’umidità della compressa, che ho su l’occhio, si infiltra a poco a poco in tutte le fasce che mi avvolgono il capo.
Dev’esser tempo di levante. Odo la pioggia eguale sul lucernario del bagno, e di tratto in tratto la goccia cadente misurare la monotonia.
Mi sembra di scorgere le bolle della pioggia a fiore dell’acqua stagnante ove giaccio.
Tutto è grigio, freddo, tardo.
Il tedio è nel guanciale, nei lenzuoli, nelle mie ossa, nei rumori che odo, nei chiarori che intravedo.
I pensieri, la tristezza, la pazienza,
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