< Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
370 notturno

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Notturno.djvu{{padleft:382|3|0]]



Sono di nuovo immobile, con qualche cosa di molliccio in me e intorno a me, come supino nella belletta in fondo a un padule limaccioso.

L’umidità della compressa, che ho su l’occhio, si infiltra a poco a poco in tutte le fasce che mi avvolgono il capo.

Dev’esser tempo di levante. Odo la pioggia eguale sul lucernario del bagno, e di tratto in tratto la goccia cadente misurare la monotonia.

Mi sembra di scorgere le bolle della pioggia a fiore dell’acqua stagnante ove giaccio.

Tutto è grigio, freddo, tardo.

Il tedio è nel guanciale, nei lenzuoli, nelle mie ossa, nei rumori che odo, nei chiarori che intravedo.

I pensieri, la tristezza, la pazienza,

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.