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La compressa s’è disseccata e la fasciatura non tiene. L’occhio lacrima, la palpebra ferita mi cuoce.
Un calore senza fiamma mi prende tutto il capo. Un’ira sorda contro il mio corpo dal tallone alla gola.
La mia mano si leva per strappare le bende, per gettare da parte il lenzuolo.
La pazienza si torce come una bestia castigata.
Il sopracciglio è fatto di spine. Lacrime senz’anima scendono alle mie labbra secche.
Sento la mia volontà non in me ma sopra di me, quasi lama affilata, lunga esattamente come il mio corpo sottomesso.
Con non so che malessere, penso al pozzo roseo di marmo veronese che è in mezzo al mio campiello,
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