< Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
384 notturno

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Notturno.djvu{{padleft:396|3|0]]

Era sauro affocato, di quel grado che i nostri vecchi chiamavano metallino.

Quando lo chiazzava il sudore, passando dall’ombra al sole sembrava fuso d’un caldo bronzo abbondante di rame. Ma l’inquietudine della sua vita nervosa e la pulsazione delle sue vene palesi non s’accordavano con la similitudine del metallo.


O El-Nar, folgore docile della mia fantasia, portatore della mia felicità solitaria, non sei più altro che polvere? polvere ardente e tenue come quella che tùrbina nel soffio del Khamsîn?

Nell’ora della partenza ebbi cuore di abbandonarti perché, avendoti amato perfetto nel deserto senza vie, non volevo che tu finissi azzoppato dalla durezza dell’Occidente e rinserrato in una stalla squallida.

Ti baciai su la fronte stellata e tra le due froge calde dei tuoi spiriti.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.