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notturno | 387 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Notturno.djvu{{padleft:399|3|0]]roseto dagli alti steli carnale e fiammeggiante come doveva esser quello della mortificazione dopo che San Francesco ebbe finito di voltolarsi nelle spine.
Sorrido in me all’imagine del Serafico improvvisamente rinvenuta in una via d’Egitto con un corteo roseo d’ibi evangelizzate.
Mi chino su la criniera e dico:
«El-Nar, che facciamo?»
Giardinieri dalla lunga tunica azzurra tagliano le rose e le coricano in cesti di sparto.
Il cuore mi palpita nella più fresca poesia; e non sa né vuol sapere se sia per obbedire allo spirito di tentazione o allo spirito di mortificazione.
«El-Nar, dolce compagno, se non son io ad abbandonarti la briglia, credo che non avrai mai più la ventura di galoppare attraverso un bel roseto al margine del deserto.»
Detto, fatto. Spingo il cavallo giù