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396 notturno

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Ecco che mi riconduci anche quello che fu il prediletto della mia infanzia nell’agio della mia casa, quando mia madre era il fiore pensoso della più sana giovinezza nella mia terra di Pescara.

Viene a me traversando il folto delle mie memorie come quando divideva col petto gli alti fieni non ancor falciati.

Solca la mia vita, che si piega dall’una parte e dall’altra toccando con le sue cime riverse il buon terreno.


Era un piccolo cavallo sardo. Era baio focato, balzan da uno, bevente in bianco. Aveva lunghe e fornite la criniera e la coda. Si chiamava Aquilino.

Nella stalla, tra la sua posta e quella della pariglia, ce n’era una

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