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notturno 437

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Il sopore m’ha preso mentre continuavo a lasciar passare fra le dita le pagine molli del libro di musica.

Ho fatto un sogno delizioso come quello del rossore. Ho bevuto la più bella canzone del mondo.

Ero nella sala d’un grande castello di Scozia. O di quale contea senza nome e senza clima?

La sala era una indicibile meraviglia di colore, addobbata dall’arte umana così come l’uccello di paradiso fu abbigliato dall’arte divina. Nei damaschi nei broccati nei velluti il verde di smeraldo, il giallo di paglia, il rosso di porpora, il nero di corvo, il neroverde misto d’oro componevano accordi inauditi, con la medesima sapienza vivente che è nelle piume della paradisèa. E le carnagioni delle donne e dei ragazzi vi risplendevano assai più che nelle più belle tele di Sir Joshua e di Gainsborough. E certe donne e certi ra-

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