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442 notturno

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Si dichiarava la persistenza dell’errore, il numero dei cadaveri, il basso tentativo della discolpa.

Il sole toccò una fila di gavette lustre.

Passavano sopra la dolina le pentole stanche, imitando il cigolìo delle vecchie vetture nelle rotaie malferme.

Il sole toccò una pala, una mazzaferrata, un pistolotto, un barile, una cassa di calce.

La voce del capo non cessava di condannare, implacabile. Un sottotenente imberbe scoppiò in singhiozzi. Insieme con una pentola stridula passò nell’aria un uccello sperso gittando un baleno dal ventre bianco.

Il sole toccò la riserva delle granate dall’ogiva tinta di rosso chiuse nelle loro gabbie di legno greggio.

Il capitano all’improvviso stramazzò e rotolò nel fondo della dolina, preso da una convulsione di femmina.

Arrivava il carnaio in marcia?

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