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notturno 465

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Lo spavento mi accelerò il cuore. Mi soffermai, perduto.

Mi parve che quel palpito orrendo si comunicasse a me dal corpo gracile della creatura morente.

Imaginai una febbre estrema, l’atrocità d’un’agonia subitanea che serrasse la piccola gola e non lasciasse più uscire né grido né gemito.

Mi chinai a guardare il viso estenuato, misi il mio respiro su quella bocca socchiusa.

Il viso era in pace, la bocca era tranquilla, la dolcezza del sonno riempiva le sue pugna chiuse.

Il prodigio della natura si rivelò al mio cuore sospeso. A un tratto riconobbi il battito delle vene che gonfiavano le mie braccia stanche.

La più lieve insofferenza poteva interrompere il sonno miracoloso. Accettai il supplizio. Seguitai a camminare col mio passo tacito, portando la vita della mia vita.

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