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notturno 487

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«Non ancóra. Ma comanderò il campo, aspettando. E tu?»

Nelle mie imaginazioni egli guarda il suo Vùlture. E io sono alla foce del mio fiume, sono con mezzo corpo nel sabbione del mio fiume; e mia madre è là, accosciata, che pare vi prenda radice, che pare vi si abbarbichi per sostenere tutta la sventura della sua gente e della sua contrada.

O madre, da che oscurità debbo io rinascere?

I suoi occhi immobili sono senza risposta. La sua fronte china è remota come l’ultima neve della Maiella che sporge laggiù in forma di mamma.


Sono sfinito come se riavessi i due fóri nel capo e ripenzolassi nel vuoto, dal bordo della carlinga che vibra.

So che deliro, e dòmino il mio delirio.

Ho sete. Sono tutto sete e orgasmo. L’imagine del fiume mi supera, mi sommerge, mi corre sopra.

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