< Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
XIV ANNOTAZIONE

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Notturno.djvu{{padleft:532|3|0]]buon tizzone di quercia, in commemorazione del mio focolare.

Stavamo intorno accosciati, in silenzio.

Solamente il soldato e la fiamma stavano in piedi.

La fiamma era bella, e il soldato era di là da ogni bellezza con la sua divina miseria.

La fiamma ruggìva, e il soldato serrava le labbra.

E tutti i fuochi della mia cecità inaridita e sterilita non mi diedero mai tanta passione quanta me ne dava quel fuoco in terra.

Come i fastelli si furono consumati ed ebbimo attorno attorno raccolti i sermenti e gli stecchi per tutto ardere, io presi la mia bracciata di lauri e la gettai su la brace.

Restammo là sospesi a guardare, ad ascoltare.

Il lauro minacciò qualche cosa. Poi divampò come un’ira magnanima.

Fummo tutti splendenti di lui, tutti abbagliati da lui, rapiti da lui.

Ora l’ignoto non aveva altro corpo se non quello.

E la voce che aveva chiamato Lazaro, quella medesima voce disse al misero che aveva gettato invano la sua rete nella corrente del martirio: «Non temere. Da ora innanzi tu sarai prenditore d’uomini vivi, o spirito.»


Poi, quando anche l’ardore del lauro fu consunto e la mia gente si fu allontanata e il trivio fu deserto, io ritrovai l’arte di mia madre nel porre sotto la brace il capo del tizzo.

«Suso in Italia bella»

4 novembre 1921.

G. D’A.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.