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128 | elegìe romane |
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Inutilmente, ancora, da Cesare nume benigno
8l’esule attende un ramo de la pacata oliva.
Già sopra sta l’inerte vecchiezza; la ruga senile
10ara già il volto. Attende egli la morte, e chiama.
Flebile il carme sale per cieli immiti ove i dardi
12fischiano che di lungi scaglia il bracato Geta.
— Niobe felice, se ben tante vide sciagure;
14che, fatta pietra, il senso perse del male. E voi
voi pur felici, cui le bocche chiamanti il fratello
16chiuse di novo cortice il pioppo. Io sono,
io son colui che mai sarà confinato in un tronco,
18io son colui che in vano essere pietra vuole. —
Cadono l’ombre, s’addensano gelide; il mare
20ulula; il vento reca strepito d’armi. Oh Roma.