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134 | elegìe romane |
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Lugubre è il mio perire, se ben non sia questo il feroce
8Ponto e non la scitica freccia nei cuore io tema.
Sotto sereni cieli più duro è l’esilio a tal cuore
10cui più nessuna cosa che amò rimane.
Stanca è la carne e spira già l’anima, in questa incompresa
12pace. Oh lasciate un’Ombra verso la morte andare!
Tutto è sereno. Il flutto è docile. Incurvasi il lido
14come una lira, dove sorgono emerocàli
simili agli asfodeli che illustrano i clivi de l’Ade,
16candidi. Ma non questa pace il morente chiede.
Chiede il silenzio immenso, eterno, che sta su l’immoto
18fascino del deserto onde tu sorgi, o Roma.
Quale alto monte, quale oceano infinito, qual somma
20tenebra vince tanta solitudine?