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elegìe romane | 145 |
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credo io aver nel cuore. — Mi disse languendo la donna
24tenera. Ne la bocca le rifioríano i baci.
Io che provai? Mi stava su ’l cuore un affanno ignorato.
26Tutto pareami quivi solitudine,
vacuità, tristezza, immobile tedio, nel muto
28lume, sotto i muti chiari lontani cieli.
Poi, ne le vaste sale deserte, vedemmo le inani
30spoglie dei re, le vesti, l’armi, i vessilli, i cocchi
d’oro, il vascel vermiglio che tenne le pompe del terzo
32Carlo; e il tuo cupo rombo parvemi udire, o Fato.
Parvemi; ma più forte salìa verso l’ardua loggia,
34ove tremammo, il rombo de la città che tutta
quanta ferveva al sole, tutta quanta aperta in un riso,
36in un possente riso inestinguibile,