< Pagina:D'annunzio - Elegie romane.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

elegìe romane 145

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'annunzio - Elegie romane.djvu{{padleft:155|3|0]]


credo io aver nel cuore. — Mi disse languendo la donna
  24tenera. Ne la bocca le rifioríano i baci.

Io che provai? Mi stava su ’l cuore un affanno ignorato.
  26Tutto pareami quivi solitudine,

vacuità, tristezza, immobile tedio, nel muto
  28lume, sotto i muti chiari lontani cieli.

Poi, ne le vaste sale deserte, vedemmo le inani
  30spoglie dei re, le vesti, l’armi, i vessilli, i cocchi

d’oro, il vascel vermiglio che tenne le pompe del terzo
  32Carlo; e il tuo cupo rombo parvemi udire, o Fato.

Parvemi; ma più forte salìa verso l’ardua loggia,
  34ove tremammo, il rombo de la città che tutta

quanta ferveva al sole, tutta quanta aperta in un riso,
  36in un possente riso inestinguibile,

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.