< Pagina:D'annunzio - Elegie romane.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
160 | elegìe romane |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'annunzio - Elegie romane.djvu{{padleft:170|3|0]]
Va, dunque. Roma nostra vedrai. La vedrai da’ suoi colli
10dal Quirinale fulgida al Gianicolo,
da l’Aventino al Pincio più fulgida ancor ne l’estremo
12vespero, miracolo sommo, irraggiare i cieli.
Tal la vedrai qual gli occhi la videro miei, quale sempre
14ne l’ansiosa notte l’anima mia la vede.
Nulla è più grande e sacro. Ha in sè la luce d’un astro.
16Non i suoi cieli irraggia soli ma il mondo Roma.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.