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10 | elegìe romane. |
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fendere l’ignea zona che il vespro d’autunno per cieli
8umidi, tra nuvole vaste, accendea su Roma.
Non era in me certezza de l’ora, de’ luoghi. Un fallace
10sogno teneami? O tutte de la mia gioja consce
eran le cose e in torno rendevano insolito lume?
12Io non sapea. Le cose tutte rendevan lume.
Tutte le nubi ardeano immote: qual sangue da occisi
14mostri, rompea da’ loro fianchi un vermiglio rivo.
Lieta crescea la strage per l’erte de’ cieli, sì come
16per infiammati boschi gesta d’immite arciero.
Agile da le gote capaci il Tritone a que’ fochi
18dava lo stel de l’acqua, che si spandea qual chioma.
Tremula di baleni, accesa di porpora al sommo,
20libera in ciel, la grande casa dei Barberini