< Pagina:D'annunzio - Elegie romane.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
48 elegìe romane

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'annunzio - Elegie romane.djvu{{padleft:58|3|0]]


più vivo ardor per me le comprende il pensiero, se a torno
  10languidi favellano gli alberi in colloquii.

Ahi, non indarno un tempo le cose parlavano amore!
  12Ma di gioire urgeva brama più forte noi

ebri di tal dolcezza cui gli astri effondean pe ’l raggiato
  14etere, cui limpida piacqueci di bevere.

Vino immateriale in coppa invisibile, oh mira
  16ebrietà che tutto l’essere penetrando

fece rigati a noi di nuova delizia gli amplessi,
  18rese infiniti i brevi nostri mortali amori!

Forte il mio spirto ardendo occupò il suo cuore profondo
  20come la fiamma alácre abita l’urna cava.

Di quell’amante vita nudrivasi ardendo il mio spirto,
  22come la fiamma a notte beve la pura oliva.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.