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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Daniele Cortis (Fogazzaro).djvu{{padleft:121|3|0]]
«Fertig!» gridò il conduttore.
Cortis non aveva pensato, fino a quel momento, che a non perdere il treno. Appena entratovi, si vide nella sala dell’adunanza elettorale, in faccia ad amici atterriti e accigliati, fors’anche ad avversari beffardi, solo, assalito con armi sue proprie, con parole che non conosceva ancora ma certo scritte da lui, chi sa dove, chi sa quando, ma certo sincere, non disposto a nessun sotterfugio mai, a nessuna ritrattazione, a nessuna viltà, costretto a dar battaglia con una bandiera nuova, in altro tempo e in altro luogo che non avrebbe voluto. Vide tutto questo e sentì insieme affluirsi al cervello e al petto un’onda di fuoco vitale, si sentì lo spirito più potente che mai, e sdraiandosi con certa noncuranza leonina sul sedile di velluto rosso, rispose mentalmente al conduttore:
«Va bene, pronto!
Passando sul ponte che cavalca la stradicciuola di Pazzallo, corse un istante col pensiero quella via nota, ma non arrivò lassù sulla casetta dal cancello rosso, dove pure avrebbero dovuto, fra poche ore, spiegarsi delle parole strane, scoppiar delle accuse lanciate in aria. Il suo pensiero tornò subito alla via di ferro che lo portava alla meta.
Intanto le acque di levante, nere di vento, si allargavano, si allungavano fin laggiù alle radici lontane della nota roccia dolomitica che usciva lentamente dietro agli altri monti e si scopriva in faccia a Cortis tutta intera, sino alla punta formidabile, come un esempio di audacia che sta.