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gli affari del barone 159

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«Ah!» fece Elena, lo guardò senza raccapezzarsi, e soggiunse:

«Niente.

Appena il cameriere si fu ritirato, ella si ricordò d’averlo fatto venire e perchè, corse all’uscio, gli gittò dietro due parole « una carrozza » e tornò lentamente a contemplar la Fontana. Era dentro a lei una confusione di pensieri, un viavai d’immaginazioni commiste a un sentimento nuovo, il ribrezzo del marito, lordo di danaro altrui. E poi pareva che tutto questo tumulto si chetasse; come se le si fosse aperta in fondo allo spirito una invisibile uscita. Restava un vuoto, un buio; e come gli occhi guardavano inconsciamente la fontana, così tornavano inconsciamente alla bocca poche parole lette mezz’ora prima nelle Mémoires d’outre tombe, le parole della povera De Beaumont a Tivoli: «Il faut laisser tomber les flots.»

Ma questo mortale silenzio interiore non poteva durare in Elena. Appena il cameriere tornò ad avvertirla che la carrozza era pronta, si scosse, non pensò più se non a fare quel che doveva. Si fece portare in fretta al telegrafo e vi scrisse un telegramma per lo zio Lao, accettando il danaro prima rifiutato, sollecitandone l’invio e promettendo spiegazioni per lettera. Nel tornarsene all’albergo, amaramente contenta di sè, pensava ai turbati commenti che del suo telegramma si farebbero a villa Carrè, alle collere dello zio, ai lamenti della mamma. Le vennero in mente, chi sa perchè, anche le povere rose che guardavano nella sua cameretta deserta. Dalla mamma aveva ricevuto, la mattina del giorno

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