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CAPITOLO XIII.

Vertigine.


Alle nove e un quarto gli amici fumavano e chiacchieravano intorno a Cortis, che andava dall’uno all’altro, acceso in volto, con gli occhi scintillanti, parlando, scherzando, come se Elena, suo marito, la signora Cortis non fossero esistiti mai, se tante angustie si fossero dileguate dal suo cuore per sempre. V’erano dei giovani deputati in cravatta bianca, disposti a fare lì un po’ di politica e a riderne più tardi in qualche veglia elegante; v’eran dei senatori serii e un po’ a disagio nella compagnia di quei primi; v’era un paio di giovani ancora più serii che tornavano dall’aver studiato scienze sociali in Germania; v’eran due o tre poderosi signori dell’alta Italia che aiutavan di borsa, largamente, a fondare il giornale. Cortis aperse la seduta annunziando che tutto poteva considerarsi pronto per la pubblicazione di questo. Si aveva un capitale sottoscritto di 450,000 lire; la tipografia era pronta, locale, macchine e persone; pronta la redazione e i principali corrispondenti esteri; gl’italiani si troverebbero subito. Cortis prometteva l’assidua opera propria, almeno sino all’apertura della Camera nuova. Ora occorreva intendersi sul miglior momento d’uscire. Cortis era risoluto, come gli amici sapevano, di pigliar occasione

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