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CAPITOLO XIV.
Eran degni di questo.
Elena non dormì quella notte. Ebbe un breve sopore all’alba e sognò la sua cameretta gaia di Passo di Rovese, il vento fresco, il verde e le rose; un sogno in cui si sdegnò, quasi, con sè stessa; si alzò alle sei, andò a messa alla Minerva con il desiderio di pregare, di trovare un po’ di pace. Non potè. In chiesa più ancora che fuori si sentiva muta di fede. E invidiò, sedendo stanca nel suo banco, tutti quei devoti che avevano tante cose buone da poter domandare a Dio, che pregavano fervorosamente, come se proprio lo vedessero là fermo sull’altar maggiore ad ascoltarli. Ella invece non vedeva che la propria sua vita misera, inutile, e non desiderava niente, non aveva niente da domandare a Dio senza peccato. Gli chiederebbe forse di estinguerle la passione, il fuoco dell’anima? Oh no no, il suo tormento le era troppo caro: ne viveva. Piuttosto chiedergli di farla morire; ma che ne sarebbe di lei nell’altra vita? Che aveva mai fatto di bene, in questa? Qualche opera di carità, freddamente. Anche la sua virtù di moglie fedele, che merito religioso aveva? Nessuno. Era stata fedele, in parte per un fiero sentimento umano d’onore, in parte per non nuocere a lui, per non essere un inciampo sul suo cammino. Con quale frutto? Con