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eran degni di questo 227

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Verso le undici, la carrozza delle signore giungeva dal borgo San Spirito e quella di Cortis dal ponte di ferro al museo Tiberino.

«Sapete cosa faccio?» disse la contessa vedendo da lontano suo nipote. «Vi dono il vostro museo, e ve lo dona anche il senatore; non è vero? Lui mi accompagna a fare una commissione; e tu, Elena, vai al museo con Daniele e poi ti fai accompagnare all’albergo. No?

«Per me...!» rispose il senatore chinando il capo e alzando le mani spiegate. Elena non disse parola, non arrossì nè impallidì: solo l’ansar del seno tradiva la sua commozione. Prima che scendesse di carrozza, sua madre le sussurrò rapidamente all’orecchio di riferire a Cortis la sua ferma volontà di non ricevere la cognata. Elena scosse risolutamente il capo.

«Parlerai tu» diss’ella.

La contessa Tarquinia morse disperatamente il ventaglio che teneva in mano; poi, salutato appena suo nipote, ordinò al cocchiere:

«In via Condotti.

Cortis non capiva. Guardò Elena come per chiederle una spiegazione.

«Alla mamma non piacciono i musei» diss’ella con voce incerta e con un sorriso forzato della bocca, che mal rispondeva al fuoco triste degli occhi. «Se puoi, mi accompagni tu.

«Figurati» rispose Cortis. Prese i biglietti e, offertole il braccio, entrò con lei nel giardino deserto, incolto, che verdeggia sotto le solitudini di Sant’Onofrio.

I lontani rumori di Roma morivano in quel silenzio

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