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298 | daniele cortis |
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Elena non ebbe la forza d’entrar subito a parlar del come e del quando.
«Sai che ho paura d’essere una gran bestia, io, a credere che tu venga?» esclamò suo marito.
Ella si alzò sdegnosamente per tornare all’albergo.
«No, no, ti credo» diss’egli blando. «Che fretta hai? Fermati un poco. Sii buona!
Elena volle partir subito. Suo marito le propose burberamente di accompagnarla; la padrona di casa, che aveva sempre origliato all’uscio, offerse la propria camera per la notte; non s’era coricata apposta! Ella rifiutò tutto con tale veemenza, che colei, quasi quasi, le chiese scusa.
«Lasci fare» disse il barone. «da qui alla Minerva le strade sono sicure, e mia moglie non ha paura di niente.
Colei accompagnò Elena con il lume fino alla strada, le disse che aveva sperato si fermasse. Il signor senatore le faceva pena. Aveva tanti fastidi! diceva certe cose!
Elena rispose con un leggiero cenno di saluto e uscì, si incamminò adagio per la via buia, lasciandosi portar dall’istinto senza saper bene dove fosse, senza altro senso che di un dolor sordo al cuore, di una mortale inerzia della mente. E guardava appressarsi una dopo l’altra, lentamente, le fiamme dei radi fanali, tremare ed ardere, scomparire sopra la sua testa. Le venne a poco a poco una strana idea; s’immaginò di sognare che era smarrita in una città sconosciuta, immensa. Allora il suo istinto l’abbandonò a un tratto. Non sapeva qual via prendere, dovette fermarsi, pensar lungamente, guardarsi bene attorno prima di capire che era al canto di via dei Pastini.