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300 | daniele cortis |
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«Imbecille» esclamò il conte, «andiamo, non seccare.
Elena non potè insistere. Sedette discosto dal letto, evitando, per quanto le fu possibile, d’avere in viso il lume delle candele.
«Dunque?» diss’egli. «Sei stata da tuo marito?
«Sì.
«E così?
Elena non rispose.
«È vivo o morto.
Ella tacque un poco, si coperse il viso con le palme, poi si buttò ginocchioni al capezzale dello zio, gli afferrò una mano.
«Zio, zio» diss’ella con uno slancio di passione «bisogna salvarlo! Senza ch’egli possa mai sapere che siamo stati noi!
Lo zio non si adirò, questa volta.
«Salvarlo, tu dici» rispose sorridendo, «salvarlo come se non fosse niente. Un bel mobile da salvare! Se vuoi salvarlo tu, fa pure, fai benissimo; io non butto certo via i miei danari in questo modo. Levati, levati!
Parlava con la maggiore dolcezza, e, quand’ebbe finito, baciò pian piano Elena sui capelli.
«Ch’io faccia pure!» diss’ella accorata. «Che lo salvi io! Farei benissimo! Lo so, lo so.
Amaro momento! Il conte Lao non pensava che le sue parole dovessero suonarle così dure.
«Sai bene che io non ho i mezzi» soggiunse Elena, alzandosi.
«Va là, va là» diss’egli, «che quelle canaglie là non vanno mai a fondo, trovano sempre chi li aiuta. Non si ammazzerà, sta quieta. Scommettiamo che gli capita qualche fortuna?