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22 | daniele cortis |
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«Scusami» ripigliò suo zio. «È una cosa che riguarda lui solo. Non posso parlare.
Ella si pentì d’aver palesate quelle due parole di suo cugino che potevano attestare un’amicizia molto intima e confidente. A un tratto tese l’orecchio, s’avvicinò alla finestra e l’aperse. Una gran voce d’acqua corrente entrò nella camera.
«Sei matta?» gridò il conte Lao, scappando, col bavero del soprabito alzato, alla poltrona d’angolo. «Chiudi per amor di Dio! Cosa diavolo fai?
Non pioveva più; appena qualche grossa goccia batteva sulla ghiaia dalle grondaie.
«Se non piove, zio! Se non c’è un fil d’aria!
«Oh non c’è aria! Santo Dio, non c’è aria! Non la chiude mica, sapete. Con questo umido! Il Rovese che pare in camera e non ci sarà aria, ohe. Andiamo, finiamola, serra!
Elena non gli diede retta.
«Scusa, zio» diss’ella in fretta e sottovoce, «ho udito aprire l’uscio della sala. Voglio vedere chi esce.
Uscivano i preti con un grande stropicciar di piedi, con una ressa di strascicati saluti. Il senatore era con loro. Prese a braccetto il parroco di Caodemuro e gli disse qualche cosa all’orecchio. Tutti gli altri gli si strinsero intorno. Colui, un prete stecchito, rubicondo, dagli occhiali d’oro rispose forte:
«La sa, noialtri si deve star col papa; direttamente non si può far nulla. Non expedit. Io se avessi cento voti e potessi votare, certo non ne darei uno solo a questo signore qui, e sarò molto contento se farà un bel fiasco. Ma ho paura, perchè qui votano tutti per lui. Quello che possiamo far noi è di persuaderne qualcuno a star a casa. Ma poi...