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devo andare? 313

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«Venuta l’ora, tu non avrai che a scrivermi, indicando addirittura il porto d’imbarco, il bastimento, il giorno della partenza, tutto, con la massima precisione. Vorrei che il mio viaggio fosse il più diretto possibile; e vorrei anche partire da Venezia ch’è a quattro ore da Passo di Rovese. Ma ho paura che da Venezia non ci sieno partenze per l’America.»

Elena restò un momento di scrivere.

«Quanto tempo» disse Cortis, piano «che non ci troviamo insieme a Passo di Rovese, in maggio! Dobbiamo leggere Shakespeare nei giardini, questo maggio. Scusa, scusa che ti disturbo» soggiunse perchè lei non rispondeva, pensava con una mano sugli occhi.

Era un grido, un angoscioso grido che le rompeva in quel punto dal fondo dell’anima: «Devo andare? Devo proprio andare?» E il cuore le si sollevava, rispondeva: «No, no» con una violenza! Che sarebbe poi là, a Passo di Rovese? Se la forza le mancasse, se si lasciasse cadere? Era stato troppo facile di promettere; e facile sarebbe stato di partire sull’atto senz’avere tempo di veder nessuno, senza aver tempo di pensare!

Riprese a scrivere:

«Ti prego poi d’avvertirmi quanti giorni prima sarà possibile, perchè avrò pur bisogno d’un po’ di tempo.»

Appena scritte queste righe, se ne pentì amaramente. Avrebbe dovuto chieder l’opposto, un richiamo immediato, dalla sera alla mattina, che non lasciasse agio alle tentazioni; e invece la mano debole, la mano vile aveva scritto così. E ora? Non voleva farsi vedere da Cortis a lacerare la lettera, a scriverne un’altra. Il cuore le batteva a furia come

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