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326 | daniele cortis |
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«A voialtri» diss’ella porgendo il telegramma a sua figlia. «Telegrafa da Bergamo; hai visto? E cosa gli viene in mente di condurre quel povero vecchio di Clenezzi che starebbe tanto meglio a casa sua? Non capisco niente. E poi cosa sarà andato a fare, a Bergamo?
Sfogava così, povera donna, il suo intimo dispetto; si sfogava sopra tutto a concludere che da simili originali bisognava aspettarsi ogni cosa.
«Che sarà successo?» pensava Elena salendo in camera. «Sarà oramai aggiustato tutto? Saran già fissati il giorno e il luogo della partenza? Dio, la temuta lettera era forse in viaggio? Suo marito le aveva fatto pervenire, prima che lasciasse Roma, un bigliettino in cui s’impegnava di scrivere cinque o sei giorni avanti la partenza. Le pareva di vedere suo zio, di udirgli dire «partirà il giorno tale», e un brivido le correva nella persona, le rompeva il pensiero. A che ora arriverebbe, questo zio? Lo desiderava con ansia febbrile. Quello stato lì era il peggiore di tutti. E non avere un’anima in cui versar la sua, non un aiuto, non un conforto! Anche se credesse come Cortis, non potrebbe tuttavia pregare che lo zio le portasse una buona notizia, un felice scioglimento impensato. Oramai quel ch’era fatto era fatto; non si poteva mutar più. Si poteva solo dire al Signore: Sia fatta la tua volontà.
Ella era in piedi davanti alla sua finestra con le palme strette a’ due lati del volto, con gli occhi spalancati, con il pensiero fisso in queste parole di preghiera, a cui però il cuore non veniva ancora. Udì la voce di Cortis che abitava il quartierino a pian terreno sotto di lei e ora aveva aperto la finestra e