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344 | daniele cortis |
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«E credete» soggiunse Elena, «che quel personaggio di Metastasio avrebbe fatto bene a dirglielo, alla sua amica, che doveva andar via per sempre?
«No» rispose Cortis. «Se lo credeva un dovere no, perchè poi gli sarebbe stato molto più difficile di compierlo.
Il tresette finì in quel momento.
La contessa Tarquinia avea fatto recar del vino poco prima.
«Al nostro deputato, dunque!» esclamò don Bortolo. Tutti fecero eco.
«Grazie» disse Cortis «ma non accetto brindisi.
«Oh sì, sì» esclamò Elena. «Da me sì» soggiunse sottovoce.
Egli non osò contraddirla in quel momento e tacque.
«Io ho bevuto, intanto» disse il senatore, ed è un vino che non può sbagliare.
«Vino da preti, signore» osservò il cappellano. «Vino da poveri sacerdoti. La capirà in che paese la si trova, signore.
La conversazione si sciolse subito. Tutti si congratularono. Non erano ancora usciti dalla sala, che Lao si lagnò del tanfo rimastone.
«Aprir tutto per dieci minuti, qui» diss’egli a sua cognata.
Vennero i domestici, portarono via i lumi, apersero le finestre. Solo Cortis rimase nella stanza a godersi il lume scuro delle stelle, il soffio e il fragor del vento. Aveva forse sperato che rimanesse anche Elena, ma ella era uscita con suo zio, l’aveva seguito sul più lontano dei quattro canapè della sala, mentre Clenezzi calando adagio adagio sul più vicino accanto alla contessa Tarquinia, le diceva con un sospiro: