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Elena non compariva mai. Verso il tocco e mezzo comparve invece il conte Lao chiuso nel suo soprabito.

«Ohe» diss’egli, «si va o non si va? Se non si va subito, io resto a casa.

Si chiamò Elena, che avrebbe voluto aspettare ancora un poco. Lo zio andava fuori dei gangheri, la contessa Tarquinia gridava dalla finestra della sua camera: «Cosa fate che non vi movete?» e il povero Clenezzi, non sapendo con chi stare, si accusava di questo trambusto, protestava che sarebbe rimasto volentieri a casa, che luoghi più belli non si potevano vedere. Cortis domandò ad Elena se ci tenesse ancora tanto alla posta. Ella si ritirò subito dalla finestra cui s’era affacciata e rispose dal di dentro:

«Vengo.»

S’incamminarono: Lao davanti a tutti, solo, a testa bassa, brontolando; poi Clenezzi a fianco di Elena, poi Cortis. Non c’era nel cielo limpido una nuvoletta, l’erba si moveva appena nell’alito dell’aprile, così molle e tardo, stanco di troppa vita, di troppi desideri che porta. Cortis e Clenezzi scherzavano sull’andatura funebre del condottiere

«Colonna di nuvole!» gli gridò Cortis.

Lao si voltò.

«Sì, sì,» diss’egli «tirarmi attorno con questo tempo da cani! Non sentite che a momenti piove? Basta esser uomini politici per non capir niente.

Cortis rise forte. Elena, sempre silenziosa, lo guardò in modo ch’egli credette farle dispiacere con la sua allegria, le rispose con un altro sguardo serio serio, quasi dolente. Ella indovinò il suo pensiero, gli sor-

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