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nel poema dell’ombra e della vita | 351 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Daniele Cortis (Fogazzaro).djvu{{padleft:361|3|0]] rise di furto un momento, mentre gli altri due avevano avviato un dialogo sugli uomini politici. «Ecco», diceva Lao sottovoce a Clenezzi, additando Cortis. «Quello là e basta. Un poco mouche du coche anche lui, ma non come gli altri che vi guardano come se tirassero il mondo, e se loro, le bestie, fossero più onorevoli di noi che ci lasciamo tirare. Adesso ti spolitichiamo te!» soggiunse forte, voltandosi a Daniele. «Ti invillaniamo, ti mettiamo a urtar avanti l’Italia qua, qua, con le mani e con i piedi, sui tuoi campi; altro che alla Camera con le parole! A studiar economia qua, qua, nella pratica, altro che sui libri! E se hai la malinconia del socialismo, della democrazia cristiana, qua si prova, sugli uomini, per terra e non nelle nuvole in un pallon di carta. Qua, qua!
Ogni volta che diceva «qua» batteva il bastone a terra.
«Oh!» esclamò Cortis. «La posta!
Elena si fermò su due piedi, un leggero sussulto delle spalle tradì la sua commozione. Anche il portalettere si era fermato a frugare nella borsa.
«Una lettera per lei, signor conte» diss’egli.
«Tientela!» rispose questi alzando il bastone. «Lettere e sassate sono per me la stessa cosa.
L’altro si schermì ridendo, gli diede la lettera, ne diede un’altra a Cortis che guardò la scrittura e rimase lì attonito, un po’ accigliato. Per ultimo, colui si volse ad Elena, frugando ancora nella borsa.
«Anche per me?» diss’ella. E subito si sentì dentro come una scossa, un intorpidimento elettrico, un mancar della vita. Colui le porse una lettera. Elena la prese, la guardò, era quella; ebbe un solo pensiero: non tradirsi.