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354 | daniele cortis |
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Cortis sorrise.
«Verrò qui spesso» diss’egli, «molto spesso, a prender fede, speranza e vita.
Gli occhi suoi e quelli d’Elena s’incontrarono. Ella intese bene, si abbandonò tutta, con l’immaginazione, al pensiero di non partire, di viver vicina a lui per sempre, e ne provò un ristoro delizioso, una dolcezza che le penetrava, ricreando ogni fibra, un godere intenso di quel che vedeva e sentiva, del verde, delle rose, dell’acqua cadente, persin dell’aria che respirava.
«Hai avuto una lettera?» le disse Cortis nell’aprirle il cancello di legno che mette da un cortiletto rustico ai giardini.
«Io?» rispose Elena colta alla sprovvista: e il suo cuore si serrò sull’atto.
«Eh, me l’ha detto lui» replicò suo cugino accennando a Clenezzi che li seguiva con Lao.
«Sì» diss’ella tremante.
Non guardò Cortis, ma sentì il sussulto che lo scosse. La breve ebbrezza le era già caduta all’udir nominare da lui la lettera. Le era risorta incontro da quelle labbra la realtà imperiosa dello scritto, della situazione terribile, del suo dovere.
«L’ho detto, io» esclamò Lao, «che il tempo cambia? A voialtri.
Bianche nuvole uscivano dalla cima del Passo Grande sulle vette degli alberi affollate a fronte e a sinistra del cancello; e il sole veniva meno sul breve prato scoperto, sulla stradicciuola che gira e si perde nei misteri del bosco, nel poema dell’ombra e della vita. Lao si fermò al cancello, guardando le nuvole. Elena intanto camminava adagio adagio verso il bo-