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Le sue labbra segnarono poi, senza voce, queste due parole: «Per te.

E quando egli mostrò a Clenezzi la colonna antica portata lì dalle terme di Caracalla e gli lesse con calda voce l’iscrizione latina, Elena intese bene che la leggeva per lei, che diceva a lei: «D’inverno e d’estate, da presso e da lontano, sin ch’io viva e più in là. Usque dum vivam et ultra». Profondo suono, pieno di mistero.

Clenezzi domandò la storia di quell’epigrafe. Cortis non la sapeva o non la volle dire.

Di quanta invidia eran degne quelle due mani così fortemente congiunte senza che il mondo nemico potesse conoscere mai nè il viso nè il nome di chi si amava tanto!

«Andiamo, andiamo» disse Lao «che si è riscaldati e qui c’è aria. A me poi mi danno fastidio quelle due mani sempre lì unite. Spero una volta o l’altra, venendo qua, di trovarne una sola. Del resto, a momenti piove. Un bell’affare!

Non pareva ancora che dovesse piovere, ma pure il cielo era quasi tutto coperto quando la comitiva calò nella conca verde fra il poggio e il monte, verso il gran tiglio caro ad Elena, che ora non lo guardò nemmeno. Cortis aveva proposto di scendere pel valloncello al viale di carpini e quindi al lago. Il sentiero, corroso qua e là, non era, in principio, troppo facile. Elena e Cortis passarono, ma Lao, dopo aver brontolato parecchio allungando e ritirando ora un piede ora l’altro, tastando il terreno col bastone, dichiarò che Clenezzi e lui non passerebbero, girerebbero a destra, rifacendo un tratto di via per riuscire poi essi pure sul viale dei carpini. Elena fu presa da

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