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come gli astri e le palme | 371 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Daniele Cortis (Fogazzaro).djvu{{padleft:381|3|0]]reti giganti fra cui scende il Rovese. Quante volte Elena e Cortis non avevano fatta quella strada! Pochi giorni prima n’erano calati al fiume per un viottolo dov’essa aveva dovuto talvolta appoggiarglisi tutta. Passando di là si guardarono, si ricordarono l’un l’altro, tacitamente, quei momenti felici. Si guardavano con pochissima prudenza, oramai. Quel correre silenzioso nell’ombra, fra montagne enormi, verso paesi reconditi, li faceva sognare, dimenticar tutto che non fosse la passione. Non udirono neppure la voce di Clenezzi che domandò loro il nome di due squallide torri in rovina, sedute sugli scogli di là dal Rovese a guardar giù la ghiaia bianca. La contessa Tarquinia rispose per essi.
Al ritorno la contessa fece fermare presso il ponte della Pria. Bisognava scendere, mostrare a Clenezzi, dal ponte, le casupole accoccolate per i macigni sullo sfondo pittoresco della gola, e, abbasso, lo spacco dove va, chiusa, l’acqua verde, potente, a spandersi poi giù verso i prati, in un largo clamor di spume. Elena si appoggiò al parapetto, fissando le rocce appassionate, tragiche. Cortis le si piegò vicino.
«Per parlarci» sussurrò, «se non possiamo stasera, domattina alle sei in loggia.
E raggiunse Clenezzi all’altro parapetto.
Anche questo tormento, pensava Elena, di non poterci parlare, di non poter stare insieme liberamente! Bisognerebbe proprio aspettare fino all’indomani?
Appena tornata a casa salì dal conte Lao. Sulle scale ricordò quell’altra sera in cui era salita dallo zio dopo le parole misteriose di Daniele: «Una cosa grave.» E adesso!