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come gli astri e le palme 377

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«Daniele! Daniele!

Non rispondeva che il rombo del fiume, come un pianto delle cose nella solitudine.

Intanto si faceva sempre più scuro; attraverso il fogliame delle rose si vedeva tremare una stella.

Quando Elena se n’accorse, si rizzò sbigottita a seder sul letto. Che ore erano adesso? Da quanto tempo giaceva lì? Non ne sapeva niente, come se uscisse da un sonno profondo. Forse era tardi, forse non potrebbe più veder Daniele. Il capo le ardeva, le doleva forte, ma che importava? Si ravviò in fretta i capelli, a caso, perchè non aveva lume; e discese. Sulle scale incontrò sua madre che veniva in cerca di lei, credendola ancora presso suo zio.

«E il tuo mal di capo?» diss’ella.

Elena rispose che lo aveva ancora, che sarebbe probabilmente andata a letto presto. Le gambe le tremavano, discendendo; non le sentiva quasi più. Dovette afferrar il cordone lungo la parete. Cercava intanto raccapezzarsi sul colloquio avuto collo zio: la sua testa era così confusa! Si ricordò, le tornò un lampo di sdegno, un lampo, con lo sdegno, di vigore.

In sala non c’era nessuno. Cortis e Clenezzi erano in giardino sui sedili di ferro verso il cipresso. La contessa Tarquinia non capiva come si potesse affrontar quel vento. Soffiava forte, ora, muggiva negli abeti. Ma Elena ne aveva bisogno, e uscì mentre Clenezzi rientrava. Egli tentò trattenerla, e, non riuscendoci, voleva tornar fuori con lei, ma la contessa gli disse: «Lasci andare i matti» e lo tenne seco.

Elena e Cortis stettero un momento senza respiro,

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