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CAPITOLO XXIII.

Hyeme et aestate.


L’indomani mattina pioveva. Elena discese in sala alle sei e mezzo. Il cocchiere, che aveva ordine di attaccare alle sette e mezzo, usciva dalla cucina quando Elena entrava in loggia dalla sala. Le domandò se, piovendo ancora alle sette e mezzo, si sarebbe partiti egualmente. Elena accennò di sì con la testa. Colui se ne andò. Nello stesso punto venne il domestico per domandare alla contessina se dovesse portare o no il caffè al senatore. Partivano anche se pioveva? Elena lo guardò. Aveva dimenticato, per un momento, che venisse anche il senatore. Sì, lei partiva sicuro. Forse più tardi? No, perchè Clenezzi doveva prendere il diretto delle undici per Milano.

«Già piova lunga non fa certo» disse il domestico dopo aver considerato il tempo. Usciva il sole, allora. Il Rumano e il Passo Grande erano tutti neri sotto una fascia pesante di nebbione; Villascura e i prati avevano il sole. Pioveva un polverio lucente. Laggiù in fondo al cannocchiale del portico, di là dagli abeti, si vedeva un verde livido, il cielo turchino sulla pianura.

Elena uscì senza ombrello, andò fino al vecchio abete dai rami cadenti che ora è scomparso, ha ceduto, dopo secoli, alla tempesta, come per avverar

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