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30 | daniele cortis |
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«Tu? E se non avesse sofferto niente?
Elena trasalì, sorpresa.
«Oh, è impossibile! diss’ella.
L’uomo d’acciaio non ebbe forza di replicare: il pianto lo soffocava. Con tutto il suo vigor leonino, egli aveva spesso, nel dolore e nella gioia, degl’impeti infantili, che passavano come nembi caldi d’inverno. Ad Elena quelle lagrime rivelarono cosa egli temesse; ella si dolse di essere così ignorante, così tarda a comprendere certe depravazioni di cui aveva inteso parlare senza credervi mai interamente; si dolse d’aver suggerito a Cortis, senza volerlo, un paragone amaro fra lei che non poteva neppure capire il male e una madre che forse non poteva capire il rimorso. Assalita e vinta dall’emozione di lui, gli parlò ansando, con una strana voce nuova che voleva essere calma.
«Ma ella ti desidera» disse: «questo esprime tante cose...
«Basta, cara» rispose Cortis, pacato. «È una follìa di turbarsi così; in questo luogo poi anche. Si fa quel che si deve e basta, non è vero, Elena? Guarda che bel cielo!
Il basso oriente dove si toccano, fra montagna e montagna, il cielo e la sconfinata pianura veneta, luceva di cristallino sereno, ma una tenda pesante di nuvoloni copriva ancora la valle, gittava sulle tempie dei monti la sua ombra azzurro-nera; e i radi abeti austeri che a sommo della costa spiccavano sul cielo, parevano attendere la seconda tempesta.
Elena guardò un momento il lontano sereno con gli occhi lagrimosi, e disse:
«Parti domattina?