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fra le rose 57

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«Adesso, subito, da tuo zio. Se non il danaro, una righetta, o anche una parola perchè sono un buon ragazzo e mi voglio fidare. Mi basta averlo a Roma fra otto giorni, il danaro. Credi che abbia paura di tuo zio? Ora gli vado in camera e gli metto la questione: o Cefalù o danaro. Se griderà lui griderò anch’io, eh?

Si prese la lunga barba fulva, se la fece passare e ripassare tra le mani.

Elena cercò di leggergli in viso se avesse parlato sinceramente e con l’intento di ottenere da lei che si interponesse. A dir vero, una sua sincerità soldatesca il barone l’aveva; e fronte imperterrita pure.

«Farò io» diss’ella; e gli colse negli occhi un lampo di contentezza. «Farò io» soggiunse «a un patto.

«Che patto?

«Che tu non dica una sola parola. Capisci! Una sola! Altrimenti è inutile.

«Non la dirò.

«Con nessuno!

«Con nessuno.

«Adesso va e chiudi l’uscio.

L’onorevole barone aveva adocchiata la lettera aperta sul tavolo, ma uscì senza farne motto. Si riaffacciò però subito alla porta e disse:

«Sai, tu devi chiedere un’anticipazione su quello che tuo zio non ti vorrà togliere. Possono bastare quindici mila lire per ora; devi dire che ne ho bisogno per l’ultimo versamento del prestito di Cefalù, per non perdere gli altri. E devi dirgli che se non ho i quattrini porto il reggimento a Cefalù e lo metto a mezza razione. Capisci? O Cefalù, o danaro.

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