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per lui, per lui! 83

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Il barone credette che mentisse, che lei, suo zio, sua madre si fossero accordati per farsi giuoco di lui; acceso d’ira alzò la mano.

«Coraggio!» diss’ella, piano, senza batter ciglio.

Colui non osò.

«Ah» disse «non hai parlato?».

Il treno entrò allora, tuonando, in una galleria. Elena vedeva suo marito gesticolar furioso, lo udiva urlare, non sapeva che. Colse a un tratto questa parola: «Ipocrita.» Gli occhi le lampeggiarono. Appuntò a suo marito, in risposta, l’indice della destra.

«Io?» ringhiò l’uomo.

Tacque, e tacque anche Elena fino a quando il fragore del treno, fuori della galleria, cadde.

«Perchè ti occorreva il danaro?» diss’ella.

Le rispose brutalmente che gli occorreva per il piacer suo. Non era vero; si trattava d’impegni formidabili; ma egli voleva offenderla. Soggiunse che la prima ipocrita era lei, che lo aveva ingannato all’altare col suo falso «sì» pieno d’avversione.

Elena n’ebbe una stretta al cuore. Era vero, era vero, conosceva la propria colpa, l’egoismo di una risoluzione presa per uscire dalla casa paterna. Sdegnò rispondere che quand’anche non avesse a creder più in Dio, morrebbe prima di smentire quel «sì» dell’altare, prima di dolersene. Bisognava subirne la pena, tutta, fino all’ultimo, in silenzio.

Suo marito le domandò se credeva che avesse parlato di Cefalù per ischerzo.

«Spero di no» diss’ella.

«Spero!» ripetè il barone con un ghigno «spero!

«Rideranno di me, adesso» soggiunse, «quegli altri due briganti, ma Dio mi stritoli se li guarderò

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