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122 | il figlio del reggimento. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - La vita militare.djvu{{padleft:130|3|0]]dare lento e grave, quel rumore monotono e cupo dei carri che facea tremare i vetri delle finestre, e quei robusti artiglieri pensosi, seri, ravvolti nei loro grandi mantelli grigi; tutto, insomma, l’assieme di quel tremendo convoglio metteva nell’animo una profonda mestizia. Molte carrozze, con entro ufficiali feriti, venivan dietro l’artiglieria adagio adagio, fermandosi ogni volta che la colonna ond’eran preceduti si fermava. Comunque vi formicolasse una tanta e tale moltitudine, pure, all’infuori del rumore dei carri e delle carrozze, regnava in Goito un alto silenzio come di città disabitata.
I corpi della mia divisione s’erano accampati sulla sinistra della strada che conduce da Goito a Cerlungo e va oltre fiancheggiando la destra sponda del Mincio. I campi avevano un aspetto melanconico. Non vi si vedevano che pochi gruppi di soldati sparsi qua e là, che spiegavano le loro tende fradice e ripulivano i panni e le armi; tutti gli altri stavan sotto le tende; ad ogni momento nuovi soldati sopraggiungevano, erravano incertamente pel campo in cerca della loro compagnia, e, come la più parte avevan perduto lo zaino ed i bastoni e la tela, stavan poi là in piedi accanto alle tende dei compagni, colle mani in mano, mortificati, imbronciti, a guardarsi attorno con quella cera di chi non sa che pesci si pigliare. In quei campi non si sentiva alcuna voce, alcuno strepito; vi regnava una quiete stanca e severa.
Raggiunto il campo del mio reggimento, andai a gettarmi subito sotto la tenda e sedetti, senza parlare, accanto ai miei compagni, che da più d’un’ora erano là. Non ci salutammo, non iscambiammo una parola, non ci guardammo neppure in viso; stemmo là muti e immobili come smemorati.
All’improvviso, sentiamo un grido acuto a pochi