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124 il figlio del reggimento.

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VIII.

— Signori miei, — ci disse il medico la prima volta che Carluccio si levò, — sono in dovere di dirvi che questo ragazzo ha assolutamente bisogno di tornarsene a casa. È guarito; ma il menomo strapazzo gli può riuscire fatale. Forse tra pochi giorni, fatta la pace, volteremo le spalle a Venezia, ce n’andremo a Ferrara, e da Ferrara Dio sa dove; ci metteremo in corpo la piccola bagattella di quindici o venti giorni di marcia, o anco di più, ed è impossibile che questo ragazzo ci segua; egli ha bisogno di quiete, di riposo, e non di marciar sette ore al giorno e di dormire sull’erba. Questa non è vita per un fanciullo convalescente; ne converrete anche voi. —

E ci lasciò. Restammo qualche tempo soprapensiero. Ma alle parole del medico, per quanto si scavizzolasse a cercarle, non c’era ragioni da opporre. Ch’egli ritornasse a casa era una necessità evidente, imperiosa; ma come farlo tornare? Ma a qual casa ei tornerebbe, povero infelice? Alla sua, per morirvi di crepacuore? No, certo; e dove dunque? Si pensò, si consultò, si discusse, e non si riusciva a concludere nulla, e si era già quasi in procinto di non far caso dei consigli del medico, quando un ufficiale padovano, un giovanotto di tanto cuore che a darne un po’ per uno a tutto il reggimento gliene sarebbe avanzato, uscì fuori a dire:

— Me ne incarico io, solo ch’io sappia il suo cognome e dove sta di casa. Lo metterò sotto la protezione della mia famiglia; scriverò a casa oggi stesso. Protetto dai miei potrà tornare colla matrigna, e se ci sarà biso-

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